VOLTI NUOVI PER IL CINEMA TRA LE ATTRICI DEL VARIETÀ?
di Sergio Sollima



Vorrei sottolineare quale vivaio di attori può essere il teatro di rivista. Non è una novità, naturalmente, visto che ormai quasi tutti i maggiori esponenti hanno preso contatto con la macchina da presa. Finora, però, ci si è fermati alla superficie, sfruttando cioè il successo di certi attori famosi con film che ripetevano le formule già consacrate sul palcoscenico. A questo riguardo, a parte il caso della Magnani e forse quello di Fabrizi che escono di forza dai confini dell’argomento, è bene rilevare che il gruppo dei nostri comici è oggi, senza alcun dubbio, il più importante di tutte le cinematografie. È una carta commerciale di grandissimo valore, questa, e gli incassi dei loro film stanno a dimostrarlo, ma potrebbe essere anche una carta artistica. Comunque, in un mercato invaso dai Bob Hope e dai Gianni e Pinotto occorrerebbe da parte dei critici italiani un maggior senso delle proporzioni nel giudicare film comici sul piano sul quale essi stessi si pongono.

Sorte meno favorevole hanno avuto le attrici di rivista, le « soubrettes », cioè. La Osiris ha fatto solo una piccola apparizione accanto a Macario e così Lucy D’Albert, Luisa Poselli, Lilly Minas e Vera Worth furono coinvolte in film orrendi ed hanno perso contatto con l’obbiettivo prima di aver potuto dare una prova giudicabile. Tina De Mola, che oltre ad esser carina canta bene, ha fatto solo Pazzo d’amore con Rascel con buon esito. L’unica che abbia « sfondato » veramente è stata Lea Padovani, temperamento d’attrice ancora acerbo, sotto certi aspetti, ma ricca di qualità. Buon successo commerciale ha ottenuto Isa Barzizza che però è stata giudicata molto severamente dalla critica ufficiale. A me sembra che sia il più notevole acquisto recente del nostro cinema fra le attrici giovani. Ha molta grazia, molta comunicativa e, in un film più impegnato di quelli interpretati finora, darebbe sicuramente qualche sorpresa. Anche Olga Villi, dopo vari piccoli tentativi, comincia ad impegnarsi seriamente con il cinema. Non ha forse una fotogenia facile ma ha una maschera personalissima ed un’ottima esperienza di teatro di prosa.

È auspicabile, ora, che i nostri registi e produttori non si limitino a sfruttare la popolarità di alcuni attori ma cerchino di scoprire volti nuovi anche fra quelli poco o niente conosciuti. Il teatro di rivista ed anche quello di varietà, sono una miniera praticamente inesauribile ed il cui materiale è di prima qualità. C’è una ragione tecnica, innanzitutto. Mentre gli attori americani, per esempio, “partono” dalla disinvoltura fisica e dalla comunicativa immediata e solo in seguito “arrivano” alla recitazione vera e propria più o meno elaborata, gli attori italiani “partono” dalla recitazione e solo a volte “arrivano” alla disinvoltura ed alla comunicativa, e questo dà loro (non solo a loro ma anche ai francesi o ai tedeschi) un forte svantaggio. Gli attori di rivista, invece, per le particolari esigenze del loro lavoro, hanno già queste doti indispensabili. Il doversi adattare alle situazioni sceniche più impensate, il non avere l’appoggio di un testo letterario valido di per sé, il continuo contatto diretto con il pubblico li costringono a dar fondo a tutte le proprie risorse. Per le donne, poi, c’è l’aggiunta del « sex-appeal » e della tecnica del « sex-appeal ». A questo proposito nessuno ha mai osservato che il teatro di rivista è ancora uno dei pochi settori nei quali la bellezza femminile non sia rimasta completamente assoggettata agli schemi imposti dal cinematografo, americano in special modo, che spingono sempre di più la donna verso un tipo curiosamente mascolinizzato. Solo di rado (la Turner, la Darnell) il « glamour » cinematografico è inequivocabilmente femminile. Quasi sempre presenta caratteristiche androgine che vanno dall’irregolarissima bellezza della Hayworth o della Bacall alla « casta » sensualità della Bergman od alla intellettualizzata asciutta attrattiva della Jones o della McGuire. Tali caratteristiche con aggiunta ora di pennellate esistenzialistiche, sono molto accentuate in Europa ed anche in Italia, come facilmente si può constatare.

Il tipo di bellezza offerto dal nostro teatro di rivista, proprio perché più scoperto è forse più sano e può diventare, attraverso il cinema, un fatto preciso, un elemento tipicamente italiano. In ogni caso la bellezza di una Liana Rovis o di una Mirella Gagliardi, di una Franchina Cerchiai, di una Adriana Serra e di tante altre non ha molto da invidiare a quella delle più celebrate campionesse d’oltreoceano. Quanto alla recitazione tutti ricordano che i primi film, e non solo i primi, delle varie Hayworth, Lamarr, Darnell ecc., rivelavano da parte loro una incapacità di esprimersi attraverso i mezzi della recitazione che raggiungeva forme patologiche. Eppure in mano di buoni registi e dopo aver fatto una certa pratica, tutte hanno avuto almeno un episodio felice.


(Cinema, nuova serie, vol. 1, n. 12, aprile 1949)

 

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