IL PIONIERE ovvero IL SENSO DELL’AVVENTURA
Il personaggio fondamentale espresso dal cinema americano raffigura il pioniere del West, l’anonimo costruttore della Repubblica Stellata. Tutte le sue successive variazioni, anche se sganciate dalla tipica ambientazione western, hanno in comune i tratti essenziali del suo carattere: forza, coraggio, generosità e soprattutto un indefinibile e suggestivo senso dell’avventura.
Oltre che il personaggio fondamentale, il pioniere o cowboy o comunque uomo del West, fu anche il primo ad apparire sugli schermi statunitensi.
G. M. Anderson, Broncho Billy, ebbe questo onore.
Ma solo con William Hart l’eroe della prateria comincia ad acquistare le sue caratteristiche inconfondibili. L’amore per la solitudine, innanzitutto. Lo scarso senso associativo di cui erano dotati uomini per i quali gli altri uomini erano stati in maggioranza nemici o almeno concorrenti venne bene espresso dalla figura solitaria di Bill Hart. Egli, poi, molto più dei suoi successori si portava appresso il senso della « giustizia ». Corre inevitabilmente il pensiero agli eroi ed ai semidei ellenici ed ai paladini medioevali. L’eroe della prateria divenne cosi l’uomo-destino che sopravveniva a sciogliere i casi più aggrovigliati a rendere giustizia ai deboli ed a proteggere gli inermi. La maschera di Hart fissa, austera, gravida di destino, esprimeva bene anche la formazione puritana dei pronipoti degli esuli del Mayflower.
Di evidentissima discendenza puritana l’uomo del West nei suoi rapporti con la donna, il suo casto idillio quasi sempre posteriore allo scontro con le forze del male: l’amore come premio della lotta.
Nei suoi successori, questa atmosfera di mito va un po’ smarrita a vantaggio di un’epica più spicciola e popolare.
Tom Mix raggiunse i toni più sinceri e apparve dotato di una maggiore comunicativa. Se William Hart sembrava discendere in linea diretta dei primi colonizzatori puritani, Tom Mix mostrava chiari caratteri di una discendenza pellerossa. Anche egli era grave e silenzioso come Hart ma era l’austerità del giovane guerriero indiano e non del predicatore e del resto, spesso e volentieri quella austerità era rotta dalla cordiale allegria del giovanottone americano o dalla maliziosa ironia della più pura marca anglosassone.
Con Tom si precisò maggiormente un altro personaggio fondamentale del ciclo western, il compagno inseparabile, il solo vero amico del pioniere e del cowboy: il cavallo. Non può non tornare qui il paragone con i cavalli fatati del ciclo dei paladini. Tony non arrivava proprio a parlare, come Baiardo, ma espletava ugualmente numerosi incarichi della massima delicatezza. Sulla falsariga di Tom Mix andavano Ken Maynard, con il suo cavallo Tarzan, Hoot Gibson e Buck Jones con Aquila Bianca. Costoro con i minori, Fred Thomson con il suo Silver King, Jack Hoxie ed altri, erano i « puri », attori cioè che si attenevano rigorosamente al genere western. Ma ve ne erano anche altri come Harry Carey, George O’Brien, Richard Dix, Richard Arlen, ecc., che non si facevano scrupolo, talvolta, di fare delle apparizioni nel mondo borghese.
Comunque, fino all’avvento del sonoro, gli eroi della prateria ebbero modo di vivere mille e una avventura, tutte sorprendentemente simili nella impostazione e nello svolgimento eppure tutte diverse ed ugualmente appassionanti.
Molti cowboys, come abbiamo visto, vestivano spesso altri panni ed interpretavano altri film. Ma vi erano dei personaggi che pur vivendo la loro vita ben lontani dalle distese sconfinate del Far West discendevano dal ceppo comune e presentavano i medesimi tratto caratteristici.
Il prototipo di essi ed una delle personificazioni più raggiunte dallo spirito d’avventura fu Douglas Fairbanks. Egli nacque nel 1883 a Denver, Colorado, da una famiglia della media borghesia, il padre essendo avvocato. A diciassette anni entrò in una compagnia teatrale specializzata in Shakespeare nella quale ebbe modo di rivelare scarse attitudini alla recitazione. Lasciato il teatro passò qualche tempo all’Università di Harvard, donde pensò bene di scappare in Europa vivendo alla giornata ed esercitando i più svariati mestieri. Tornato in America entrò nel giro di grossi affari, conquistandosi presto una buona posizione a Wall Street. Nel 1906 sposò Beth Sully, la figlia del « re del cotone » e ne ebbe il piccolo Douglas Jr. Dopo poco ruppe tutti i ponti con la famiglia e la società di New York e andò di nuovo in Europa. Tornato in America, Douglas riprese la strada di Broadway, in collaborazione con il noto impresario William Brady. Questa volta le cose andarono meglio ed egli rimase in teatro per otto anni, ottenendo dei buoni successi.
Fu Griffith a notarlo ed avviarlo al cinematografo.
Dopo il lungo periodo di matrimonio con Mary Pickford, nel 1936 sposò una donna dell’aristocrazia inglese, Lady Ashley.
Douglas fu indiscutibilmente un fenomeno di prestanza fisica e di irresistibile simpatia ma non solo questo.
La coerenza del suo personaggio, l’unità di stile dei suoi film e quel particolarissimo senso di avventura, quell’alito di fantasia che ne sono la qualità più sorprendente e, fino ad oggi ineguagliata, ne fanno senza dubbio una delle personalità cinematografiche più interessanti ed attraenti. Il personaggio Douglas è affidato in modo particolare a quattro immagini: Zorro, D’Artagnan, Robin Hood ed il ladruncolo di Bagdad.
Ma con Zorro la sua maturità è ormai raggiunta.
Douglas ha in comune con i cowboys la virilità, il coraggio, la generosità e soprattutto la funzione di giustiziere. Ma egli aggiunge al vecchio schema, e ne fa anzi la propria caratteristica, un nuovo elemento: il gusto della beffa. Mi sembra qui molto evidente, le sue esperienze lo confermano, che un altro antenato debba essere preso in considerazione nel suo albero genealogico: Puck, lo spiritello maligno della foresta. Le sue imprese Puck le compie generalmente per incarico del padrone, il fosco Oberon, ma una volta in azione la propria natura di spiritello maligno suggerisce quelle gustose varianti, quelle lepide beffe. Cosi Douglas è spinto sulla via delle avventure dalle ragioni più solide ed innegabili ma una volta dentro ecco scintillargli gli occhi per la soddisfazione, ecco innestarsi nello svolgimento tradizionale della lotta l’elemento fantasia, e soprattutto, come dicevo, il gusto della beffa. A proposito, anzi, sarebbe stato interessante sapere se fra le letture di Douglas avessero trovato posto il Bandello ed il Boccaccio. Ma Shakespeare è certamente, insieme alla tradizionale figura del cowboy, il padre spirituale di Doug. Da padri così eccezionali non fa meraviglia che sia nato un figlio eccezionale.
Sul tema dell’avventuriero vi furono, durante il periodo del « muto » anche alcune variazioni di sesso femminile, come Texas Guinan per esempio, Pearl White, la regina dei serials o film a puntate e la sua concorrente, Ruth Gordon. Dopo l’avvento del sonoro, il senso dell’avventura non scemò ma venne assumendo una sempre maggiore tendenza realistica a scapito della primitiva essenzialità che ne aveva costituito il fascino maggiore.
La generazione sonora dei cowboys risulta nettamente inferiore alla precedente: Fred Scott, Jack Randall, Gene Autry e gli altri, quasi tutti provvisti di una bella voce e dell’intenzione di farne uso, sono delle vere e proprie contaminazioni del personaggio « uomo del West ». Il solo John Wayne, dopo una lunga serie di filmetti mediocri veniva riplasmato dalle mani d’artista di John Ford dando vita di nuovo al tradizionale eroe della prateria, arricchito però di nuove esperienze realistiche ed umane in Ombre rosse.
Ma l’attore-personaggio che ha raccolto l’eredità di Douglas e nel quale confluiscono un po’ tutti i motivi tradizionali degli uomini di ventura è Errol Flynn. Intendiamoci, egli è ben inferiore al modello e dietro di sè non ha Shakespeare e Puck, ma solo Sabatini, Curwood e Zane Grey, ma il suo contributo al personaggio, lo ha pur dato ed a me sembra che consista essenzialmente nel « senso del tempo ». Impostata in maniera egregia dal Captain Blood, la figura di Errol è sempre apparsa un po’ sfumata in lontananza come in una vecchia stampa.
Anche la sua vita, disordinata ed avventurosa, è quella di un « fuori epoca ».
Nacque nell’Irlanda del Nord, nel 1909. Il padre era professore universitario di fisiologia. Nel 1928 partecipa alle Olimpiadi di Amsterdam, nella squadra inglese di pugilato ed è battuto. Poi, alla ventura. Australia, Mari del Sud, Nuova Guinea, Africa: mille mestieri diversi. Verso i venticinque anni torna in Inghilterra e comincia a recitare in teatro. Appare anche accanto ad Herbert Marshall. Sembra che egli sia effettivamente un discendente di Fletcher Christian, il famoso capo della rivolta del « Bounty ». Ne interpreta comunque la figura nel film inglese[1] del ’33, In the Wake of the Bounty. Viene chiamato ad Hollywood.
A parte il fatto che solo una minima parte dei suoi film è dell’epoca moderna, Errol è veramente a suo agio solo in un costume, sia quello dell’avventuriero di cappa e spada come in Captain Blood, Il principe e il povero, Lo sparviero del mare con Brenda Marshall, The Private Lives of Elizabeth and Essex con Bette Davis, sia la divisa dello scout o del cowboy come in Dodge City con Olivia de Havilland ed Ann Sheridan, Carovana d’eroi con Miriam Hopkins e Randolph Scott o in San Antonio con Alexis Smith e in Santa Fe Trail con la Havilland e Raymond Massey. Il suo personaggio è dunque quello dell’avventuriero d’altri tempi ed anche nei western egli partecipa sempre a vicende storiche.
Molti altri attori americani hanno vestito quegli abiti ma solo occasionalmente. Gary Cooper, ad esempio ha creato delle inimitabili figure di uomini del West, ma la complessità del suo personaggio gli assegna un posto in altra sede. Anche Fred MacMurray si porta appresso una solida aria di avventuriero moderno e non solo in I cavalieri del Texas. Sulla linea di Cooper sono Joel McCrea e Randolph Scott anche essi usciti vivi e palpitanti dalle pagine di un Zane Grey o di un Bret Harte. Ma dallo stampo originale del personaggio pioniere cominciarono un giorno a venire ricalcate delle strane, ma inevitabili contaminazioni. In effetti, dallo scout al G. Man e dal bandito a cavallo al gangster in automobile, il passo è brevissimo. Edward G. Robinson, Cesar Romero, il primi Humphrey Bogart, Lloyd Nolan, Bruce Cabot, Pat O’Brien, Chester Morris e soprattutto George Raft e James Cagney sono i personaggi più riusciti di questo mondo di lotte e di avventure.
E’ interessante notare come tutti o quasi questi attori abbiano interpretato indifferentemente personaggi gangsters o detectives. Ciò dimostra esaurientemente come il fondo di essi sia comune e cioè un individualismo esasperato ed il senso dell’avventura.
Un’altra contaminazione cittadina e salottiera dell’uomo di avventura è Cary Grant, un epigone più realistico e moderno del vecchio Douglas.
Egli nacque una quarantina di anni fa a Bristol, Inghilterra, con il nome di Archibald Alexander Leach. Provvisto di scarse attitudini scolastiche e di notevoli acrobatiche, alla tenera età di 15 anni fugge di casa per raggiungere una compagnia di acrobati. L’anno dopo è a New York, a diciassette anni torna in Inghilterra e a diciannove è di nuovo in America a recitare commedie musicali. Quattro anni dopo viene scritturato dalla Paramount.
Cary Grant ha ereditato da Douglas quella sua aria da spirito folletto che una ne fa e cento ne pensa. Il suo personaggio è quello del bambino cresciuto, per il quale la vita è un giuoco sempre gustoso e sorprendente e le cui azioni sono motivate esclusivamente dalla propria fantasia. In fondo sarebbe il personaggio ideale di Saroyan, se non fosse sprovvisto della corda sentimento dolciastro e patetico. Egli si realizzò completamente in Susanna! accanto alla Hepburn ed in L’orribile verità accanto alla Irene Dunne e senza dubbio la vicinanza di queste due grandi commedianti è stata per lui preziosa. In Incantesimo poi, trovò nuovi accenti di umanità. I suoi ultimi film ce lo hanno mostrato ancora bravissimo ma forse un po’ carygranteggiante. Comunque il suo personaggio è uno dei più precisi e definiti dell’Olimpo americano.
Espressione pura del senso d’avventura è Johnny Weissmuller, che è forse il solo attore di Hollywood che abbia interpretato nella sua non breve carriera un solo personaggio. Quanto egli abbia a che fare con la creatura di Edgar Rice Burroughs, e il maligni aggiungono, con un attore cinematografico, non è ben chiaro. Tuttavia il suo Tarzan, depilato e gorgogliante strane parole, era sorretto da una eccezionale prestanza fisica.
Più interessante è Jon Hall, nato al cinema come indigeno hawayano in Uragano e poi ancora in South of Pago Pago con Frances Farmer e Olympe Bradna. Egli ha reso bene, coscientemente o no non ci riguarda, la semplicità di spirito dell’uomo che vive secondo natura. Il suo fratello letterario mi sembra che sia Billy Budd la poetica creazione di Melville. Jon Hall ha anche interpretato il personaggio di Kit Carson, famoso scout dell’epoca pioniera, nel film omonimo. Sulla falsariga di Weissmuller e di Hall è Larry (Buster) Crabbe, anch’egli, come il tedesco, ex campione di nuoto. Dopo Il re della jungla Crabbe è passato alla categoria B, interpretando fra l’altro la figura di Gordon, resa celebre dai giornali per ragazzi, in una lunga serie di film a puntate. Attualmente è nei western.
Ma è certo che fino ad oggi Douglas resta l’espressione più completa dello spirito di avventura e tutti rifacimenti dei suoi film, da Robin Hood con Errol Flynn a I tre moschettieri con Walter Abel, da Il segno di Zorro con Tyrone Power a Il ladro di Bagdad inglese con Sabu, sono li a dimostrarlo.
Nota:
[1] Il film è inglese. [N.T.]
(Il cinema in U.S.A. Roma: Anonima veritas editrice, 1947, pp. 131-138) |
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