LA LEGGE
In una società a carattere spiccatamente individualistico, nella quale perciò la lotta e l’antagonismo sono la condizione stessa di vita, non può non rivestire un interesse particolare quell’insieme di norme che regolano alla meglio questa convivenza e che si chiamano la Legge.
Il problema come è noto, divenne particolarmente scottante durante il proibizionismo e, una decina d’anni dopo, divenne popolarissimo in tutto il mondo per merito del cinematografo. Ma in sostanza la storia tutta della Repubblica Stellata è impregnata della mentalità: « la legge la fa il più forte », e certamente essa è la sola nazione nella quale per decine di anni, e fino a poco tempo fa, una gran parte della sua popolazione abbia dovuto considerare come capo di vestiario indispensabile per qualsiasi operazione della giornata, una pistola con la cartuccia in canna.
Il primo film americano degno di nota The Great Train Robbery narra un episodio di banditismo. Tutto il genere western è impostato sulla lotta contro i banditi. Ma è opportuno notare che la lotta è raramente presentata come « legge contro fuorilegge ».
Il « lui » della situazione, l’eroe, è raramente lo sceriffo. Ed il fellone di solito non è un outlaw, un fuorilegge, ma un distinto cittadino del luogo, agiato e rispettato da tutti, che solo in seguito si scopre di essere il capo della banda. Il conflitto quindi si svolge in genere al di fuori della legalità. Ed il fatto che l’eroe sia un cow-boy e non lo sceriffo e che questo debba subire la sua iniziativa, testimonia circa la innata diffidenza popolare verso gli uomini di leggi e forse, verso la legge stessa. È quella medesima diffidenza, esistente però in tutti i paesi insufficientemente democratici, che ha determinato la nascita del detective privato come eroe moderno. In Conan Doyle, in Simenon, in Wallace, come in Agatha Christie e Van Dine, il detective suscita le generali simpatie non solo e non tanto perché più abile del criminale; ma perché più abile della Polizia.
C’è poi un altro elemento tipico e abbastanza frequente nel genere western, quello per il quale, a volte, il vilain e lo sceriffo sono la stessa persona. Questa paradossale coincidenza di legge e fuorilegge verrà espressa con maggiore precisione nei film di gangsters ma anche in quelli ambientati nell’1800 si può assistere a squarci di storia che rivelano come l’Autorità, la Legge, lo Stato coincidessero sovente con la forza bruta, l’illegalità ed interessi antinazionali, o almeno ne dipendessero. Una figura caratteristica di questi film è infatti il vecchio giudice incaricato di esercitare la giustizia e foraggiato dai banditi. Anche recentemente lo abbiamo rivisto in Se mi vuoi sposami ed in Partita d’azzardo.
Figura che ritroveremo nei film di gangsters, sotto le vesti di senatore magari, o di governatore. Figura che anche troppo spesso ritroviamo nelle cronache dei giornali se non altro per raccomandare l’uso immediato della bomba atomica.
Certo, dal 1919, da quando cioè venne approvato il XVIII Emendamento che vietava gli alcoolici ed anche la birra ed i vini più leggeri, la criminalità americana, rinsanguata di continuo da elementi immigranti, trovò il suo grande momento. Si poterono creare le organizzazioni a carattere nazionale, sostenute e sostenenti gli stessi organi statali, il Senato soprattutto ed a volte, il Governo stesso.
Nessun film potrà essere più epico ed appassionante della storia di Harry Daugherty, l’uomo che aveva « fatto » Warren Harding prima come Governatore dell’Ohio e poi come Presidente degli Stati Uniti e ne aveva formato il Governo nel quale si era riservato la carica di General Attorney ossia Ministro della Giustizia.
Dopo la morte misteriosa di Harding, Coolidge ordinò un’inchiesta dalla quale risultò che Daugherty « controllava » alcune potentissime gangs.
Sono di quegli anni le imprese di Dutch, di Diamond e quelle di Al Capone, al quale molti senatori e uomini politici dovettero la loro nomina.
Era un’ingenuità credere che con la cessazione del proibizionismo, la criminalità organizzata sarebbe scomparsa. Quegli uomini avevano una forza troppo grande nelle mani e soprattutto servivano interessi troppo potenti. Diventarono racketeers e esattori di un’imposta coatta, kidnappers o rapitori di bambini e continuarono a controllare le elezioni. E’ l’epoca del « nemici pubblici », dei Dillinger, del Floyd, degli Hamilton, degli Hauptmann.
Hollywood non poteva non occuparsi di loro. Se ne occupò talmente anzi che ben presto il gangster divenne, con il cow-boy e la chorus girl, il suo personaggio più popolare e portò a tutto il mondo il messaggio di una civiltà in crisi.
Cominciarono Rouben Mamoulian e Mervyn LeRoy con Le vie della città e Little Caesar nel quale la figura del criminale era tratteggiata con una certa simpatia.
Scarface di Howard Hawks con Paul Muni, George Raft e Ann Dvorak fu forse il più realistico. Gli segui Il pericolo pubblico n. 1 di Charles Brabin con Walter Huston e Jean Harlow. Cominciarono le prime satire, benevolissime s’intende: Piccolo gigante di Roy Del Ruth, Signora per un giorno di Capra.
Tutta la città ne parla di Ford segnò la fine del primo periodo. In esso un piccolo impiegato dopo aver subito mille angherie si ribella e uccide il bandito. Da allora i protagonisti dei film cominciarono ad essere gli agenti dell’ordine: i nuovi eroi furono i G. Men. Ecco La pattuglia dei senza paura di William Keighley, Missione eroica di J. Walter Ruben, Sterminateli senza pietà di George Marshall, Dottor Socrate di William Dieterle. La serie è lunghissima.
Fra i più notevoli degli ultimi anni vi sono Angels with Dirty Faces di Michael Curtiz con James Cagney, Pat O’Brien e Ann Sheridan e Each Dawn I Die di William Keighley, con James Cagney e George Raft. In un film di tutt’altro genere, Mr. Smith Goes to Washington, con James Stewart e Jean Arthur, Frank Capra ha satireggiato con una certa efficacia la corruzione del Senato americano.
(Il cinema in U.S.A. Roma: Anonima veritas editrice, 1947, pp. 206-209) |
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