LA SINTESI SOVVERSIVA DI ROGÉRIO SGANZERLA Io credo nella sintesi, non nell’apparato.
Questa internalizzazione del tempo nella coscienza ha creato almeno due principi fondamentali per capire cos’è l’opera di Sganzerla: da un lato, la soggettività del personaggio deve essere svuotata, in modo da separarla dall’idea di scena come psicologia (identificazione); dall’altro lato, il mondo soggettivo che coinvolge il personaggio deve essere separato dall’idea di narrazione come una forma di sociologia (cioè, del senso sociale figurato nel dramma). La prevalenza di un tempo interiore riveste la struttura classica accentrata nelle conseguenze, che fino ad allora obbligava a disporre la vita in vari atti. Questo sviluppo lo troviamo in personaggi moderni come Charles Forster Kane o Michel Poiccard, dei film di Orson Welles e Jean-Luc Godard. Lo sviluppo che prendiamo da loro è quello che già era stato lì, prima di esserci l’ordine che il dramma impone al suo proprio contenuto: la vita stessa, caotica, libera, fatta di momenti, ma non di segmenti. Da questa crudezza, Sganzerla ha salutato l’origine del cinema come di un’arte dell’immediato e dell’essenza pura; un’arte che c’era già nella caverna di Platone e nel teatro delle ombre cinesi. Questa origine è la ragione per cui la precinematografía ha la capacità di fornire il concetto moderno più appropriato del cinema, stabilendo così un’antica novità contro la tradizione romanzesca del film classico. Nel cinema di Sganzerla, i personaggi riprendono il senso di prósopon e persona che rimane nell’origine greco-latina del termine, sottolineando la possibilità della mise en scène di basarsi sull’idea di una maschera usata dall’attore, al fine di mettere il pubblico in contatto con quello che loro rappresentano, in modo veloce e diretto. Da questo principio viene la condizione per capire i personaggi interpretati da Helena Ignez tutti insieme, tra O Bandido da Luz Vermelha (1968) e Copacabana mon amour (1970), in forma di una sola elaborazione allegorica estensiva, la quale ha un senso finale rifatto in ogni scena o frammento, e non semplicemente fornito come un paio di personalità predefinite dai ruoli che lei ha svolto nei film. Nonostante ciò, il viaggio di Sganzerla alla precinematografía non significa buttare via il suo forte collegamento con i valori della cultura di massa. Nelle abitudini urbane dei giovani cinefili di Documentário (1966), o nei personaggi di História em quadrinhos (1969), riconosciamo l’inclinazione del regista ad una mise en scène che coinvolge i suoi attori su di un livello creativo nuovo, uno dei più importanti aspetti che permettono a Rogério Sganzerla di distinguersi come autore di cinema. L’importanza dell’attore corrisponde all’idea del personaggio come maschera, allo stesso modo in cui l’accentramento dei personaggi nei film è anche l’accentramento del lavoro d’attore nella realizzazione della scena. La narrazione di História em quadrinhos si riferisce alle storie a fumetti, e già all’inizio della sua carriera Sganzerla ha fissato le caratteristiche che farebbero di Angela Carne e Osso, Doktor Plirtz, Aranha, Sonia Silk o Bandido da Luz Vermelha alcuni dei personaggi di film più simili ai personaggi di fumetti nella storia del cinema. Prima e durante la produzione della Belair, i ruoli di Helena Ignez sono stati connessi, per esempio, a tipi femminili emblematici dei fumetti di Milton Caniff. Angela Carne e Osso, di A mulher de todos (1969), forse è la protagonista più capace di farci notare questa connessione nell’opera di Sganzerla. Le performance delle scene realizzate da Sganzerla nel 1970 hanno portato il cinema dalla sicurezza classica all’incertezza moderna, ottenendo un tipo di espressività con cui lavorarono anche registi come Philippe Garrel in Le lit de la vierge (1969) o Jean Eustache in La maman et la putain (1972-1973); il primo è stato membro del collettivo Zanzibar, che si è organizzato in Francia dopo la fine della nouvelle vague, e il secondo si è fatto notare tempo dopo, all’inizio della nuova decade. Comunque, questo avvicinamento non è perfetto, giacché Sganzerla è arrivato in anticipo a certe innovazioni del linguaggio. Il lungo monologo in pianto di Françoise Lebrun mentre parla della vita personale in La maman et la putain cerca uno stato d’animo immediato e spontaneo che gli attori di Sganzerla già avevano rilasciato con un potente effetto estetico nei film della Belair. Varie scene sono indimenticabili, come quella in cui osserviamo un coro popolare intorno al cantautore Luiz Gonzaga in Sem essa, Aranha (1970), mentre Jorge Loredo e Helena Ignez chiacchierano e fanno un giro nello spazio aperto, componendo i loro personaggi. Questo inserimento dell’happening nel concetto di scena che i film moderni hanno prodotto negli anni 1970 è stato generato da una saturazione della mise en scène classica, sistematica e ossessivamente controllata, tanto più dalla diffusione delle soluzioni che autori come Godard avevano eseguito al fine di ricrearla in modo disuguale. Il regista francese ha creato una esuberante serie di personaggi rivoluzionari negli anni Sessanta e Anna Karina li ha anche interpretati in modo rivoluzionario. Nel caso particolare di Sganzerla, possiamo prendere la scena con Luiz Gonzaga che abbiamo menzionato, in cui Helena Ignez dice che “il sistema solare è una sporcizia” mentre gira intorno alla cinepresa, così come i pianeti intorno al Sole. L’incontro di questa frase stravagante, dura e disperata con l’armonia delle voci guidate da Luiz Gonzaga è esempio perfetto della tensione della scena sganzerlana. Non ci sono dubbi sul contributo di questa scena al cinema moderno. Nel Brasile della fine degli anni Sessanta, la repressione ufficiale della dittatura militare conteneva una reazione autoritaria al cambiamento delle abitudini, che arrivava dai paesi più sviluppati: la società civile si interrogava sulla sessualità, sull’organizzazione familiare, sull’emancipazione femminile ecc. Sembrava che una modernizzazione conservatrice fosse il vero progetto brasiliano, e alcuni intellettuali lo avevano capito già quando il Cinema Nuovo aveva perso respiro, cioè tra il colpo di stato del 1964 e la decretazione del AI-5 (l’atto istituzionale che ha potenziato la repressione). La realtà del Brasile rivelava un’ambiguità costitutiva, che ancora salta all’occhio nell’identità del paese, soprattutto dopo il ritorno dei militari al potere, associati all’estrema destra, nell’attuale democrazia. Il popolare e il moderno sono le due parti della contestazione di Sganzerla a quest’ambiente politico. I fumetti e la Radio Nazionale si trovano insieme all’Isola dei Piaceri, all’ebrezza e all’aggressività della mise en scène che il regista ha sviluppato tra O Bandido da Luz Vermelha e Copacabana mon amour. Il terzo mondo esplosivo che il nano ha annunciato nel film di 1968 è lo stesso denunciato nell’ultima scena del film del 1970, rafforzando il bisogno della rivoluzione e segnalando un discorso di violenza (“Ciao, America Latina!”). Se dobbiamo discutere il filo conduttore dello stile che si svolge dal 1966 al 1970 nell’opera di Sganzerla, soprattutto perché questo periodo è importantissimo per depurarlo, l’unità dei suoi argomenti attesta che l’autore apparteneva alla storia di quel tempo. In questo modo, le scene di Sem essa, Aranha e Copacabana mon amour accedono alla parte più alta delle risposte che il cinema moderno ha offerto al problema della rappresentazione del presente storico-politico. I frammenti, l’iperbole e l’urlo furono una scelta stilistica per far vedere un Brasile che, da solo una decade, aveva accolto i primi film di Nelson Pereira dos Santos, e così aveva cominciato a guardare immagini distinte dell’identità nazionale e del popolo brasiliano. Sganzerla ha approfondito questo precetto realizzando un cinema originale, denso e tagliente, e infine superando le matrici stilistiche fino ad allora sperimentate nel cinema moderno. La sua visione cruda della boçalidade[1] del mondo sottosviluppato ha fatto di O Bandido da Luz Vermelha un discorso sulla società che mette alla prova i confini dell’esperienza cinematografica, cosa che ha aumentato proprio il potere di sintesi dei suoi film. Girati nell’epoca della Belair, Sem essa, Aranha e Copacabana mon amour sono film da cui possiamo estrarre una contemplazione politica singolare e abbastanza purificata, sebbene anche cattiva e soprattutto pesante. Sganzerla è stato il primo a interpretare O Bandido da Luz Vermelha come lo interpretiamo qui, in un piccolo testo dell’epoca dell’uscita del film. Questo articolo è stato pubblicato nel libro Cinema de invenção, del critico Jairo Ferreira. Secondo Sganzerla, “i personaggi di questo film magico sono sublimi e boçais. Soprattutto, la stupidità e la boçalidade sono dati politici, svelano le leggi segrete dell’anima e del corpo esplorato, disperato, servile, coloniale e sottosviluppato”. L’interpretazione di O Bandido da Luz Vermelha ci obbliga a notare l’angosciante ricerca di una soluzione nel film, essendo qualcosa di intrinseco a tutti i personaggi moderni. Infatti, la camera di Sganzerla non aveva nulla da dimostrare. Invece, doveva accompagnare Luz con una certa lontananza, proprio la stessa che Sganzerla aveva usato per filmare due amici che vanno via insieme nella parte finale di Documentário. La lontananza suppone che gli spettatori impongano una loro verità alla verità del film. Non ci sono eroi nel cinema moderno, a parte quelli che i cinefili eleggono. Su questo eroismo si può dire di più. Angela Carne e Osso, protagonista di A mulher de todos, spiega la condizione impraticabile dell’eroe: “sono un’eroina senza messaggio, come ogni donna di questi tempi”. Helena Ignez parla in voice over mentre il suo personaggio conquista l’Isola dei Piaceri. L’aspetto esistenziale di Angela suscita domande che pochi film brasiliani avevano provocato con la stessa acutezza. L’idea di boçalidade veniva considerata come qualcosa di pesante, così come la vita: “prima di piantare una pallottola in testa, bisogna sentire che la gente esiste”, continua a dire Angela. Circondata da tanti animali, lei ha istinto, sensazione e basta. Allo stesso tempo, lei si mette di fronte alla camera, facendo della sua presenza qualcosa di pericoloso e anche di inclassificabile. I due film della fase Belair (non includo Carnaval na lama, 1970, perché non ho mai potuto vederlo) hanno portato la proposta autorale di Rogério Sganzerla ad un estremo. Se li prendiamo insieme, Sem essa, Aranha e Copacabana mon amour sono il risultato più completo della resistenza a chiarire l’interiorità dei personaggi, coniugata al desiderio di filmare la realtà come una visione di momenti unici e aperti, che danno l’impulso a tutti gli attori che vogliono creare i loro personaggi. La forma giusta di questa creazione è l’assimilazione sopraccaricata delle cose che ci circondano. Il vomito di Helena Ignez in Sem essa, Aranha oppure Vidimar che si rotola sulla spiaggia in Copacabana mon amour, accanto alla magia che aveva preparato per Dottore Grilo, sono due esempi della relazione sfrenata del corpo degli attori con lo spazio circondante. Queste scene sono basate su una strategia di immersione in cui l’attore, il personaggio e il mondo si amalgamano nella scena stessa e anche nell’azione. La parola corpo viene usata con troppa gratuità nel discorso della critica di oggigiorno, ma potrebbe essere riferita in modo corretto al cinema di Sganzerla. Nell’opera di Sganzerla questo concetto si riferisce allo stile, e così va usato come strumento per pensare i film. Mentre la critica attuale usa spesso questa parola per dire cose che non cambiano il giudizio su qualche film, nel cinema di Sganzerla il termine ci può aiutare a valutare le performance degli attori. Per far sì che la mise en scène diventi immagine della fusione del corpo con la materialità del mondo, Sganzerla ha stabilito un rigido controllo sul moto della camera e sulla durata delle riprese nei film della Belair. Non sarebbe uno sbaglio considerare questo controllo come un tipo di spontaneità guidata, in cui il regista ha l’incarico di produrre la connessione tra corpo, attore e mondo. Il regista sarebbe un quarto elemento, un osservatore esterno che mette e rimette la camera al “livello degli occhi”. Ogni volta che Maria Gladys urla per la fame in Sem essa, Aranha questo suo torpore è anche della realtà che la circonda. Abbiamo visto che c’è qualcosa di esistenziale nel mondo di Sganzerla che non si può bloccare nelle scene, una veemenza che la camera cerca di sguainare ossessivamente. Questi personaggi spezzati e senza storie complete, che troviamo nelle esperienze di Sem essa, Aranha e Copacabana mon amour, sono conduttori dello sviluppo più radicale del cinema brasiliano dal 1966 al 1970. Loro esistevano e abitavano il mondo nello stesso momento in cui lui diventava film. |
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