ISOLE DEL SUD
Se la scoperta dell’America donò agli uomini un mondo nuovo, la scoperta di quelle numerosissime piccole isole che si stendono a cavallo dell’Equatore nell’Oceano Pacifico, rappresentò un avvenimento più importante perchè donò agli uomini un paradiso, sia pure terrestre.
Giunse in Europa la fama di quelle terre lontane bagnate dai mari del Sud, della luna fra gli alberi, del soffio caldo degli alisei, dei tamburi nella notte, delle danze sacre degli indigeni, delle donne vestite solo di bellezza, innocenti perchè l’amore non era peccato.
Questo nuovo eden non poteva non sollecitare l’immaginazione degli artisti. Nel secolo scorso infatti una nuova letteratura prese l’avvio da questo mondo: Stevenson fu forse colui che, più di tutti gli altri, seppe darcene un’interpretazione appassionata e profonda. In pittura poi un grande spirito, solitario e primitivo, Paul Gauguin trovò li la sua espressione poetica e per lasciarcene le testimonianze vive ebbe a sopportare sofferenze e privazioni di ogni sorta.
La settima arte poi, con l’esuberanza propria degli ultimi nati, produsse una lunga serie di film che sfruttarono i meravigliosi paesaggi e la poetica vita di quei popoli primitivi.
Elemento base, comune a tutti i film sulle isole del mare del Sud, è la verginità nuova e il prepotente senso di libertà della natura che il bianco aveva trovato nei luoghi e nelle persone. Questo è il leit-motif che viene presentato o isolato come unico argomento, o, più spesso, in contrasto proprio con la mentalità e la pseudo civiltà dei bianchi.
La prima strada evidentemente offriva dei problemi molto più complessi e vi si potevano avventurare solo i poeti puri, i « lirici » dello schermo. I tre uomini che lo fecero infatti, si chiamavano Flaherty, Murnau, Vidor.
Robert Flaherty, quando ebbe l’idea di girare un film sulle isole dei mari del Sud, non pensava probabilmente che sarebbe stato il primo di una lunga schiera. Moana, girato nel 1926, fu un documentario di valore non eccezionale, ma indubbiamente di gusto, che se non altro rivelava nel regista una profonda conoscenza dei mezzi cinematografici.
Friedrich Walter Murnau, si recò nel 1931 nell’isola di Bora Bora, per le riprese di Tabù. Per questo film, che era il secondo dopo il suo arrivo in America, si servi completamente di indigeni trovati sul posto. La lineare semplicità della vicenda, descrivente i sentimenti elementari degli indigeni, il tragico senso di un destino inesorabile arbitro delle cose umane, la bellezza della fotografia ed un montaggio ben ritmato, contribuiscono a dare a quest’opera una autentica classicità da tragedia greca.
Sull’esempio di Tabù, fu organizzato un altro film: Luana, la vergine sacra, per la regia di King Vidor, con Joel McCrea e Dolores Del Rio nella parte di un’indigena. Il film è del 1932. Anche qui è narrato il dramma di una fanciulla dichiarata « tabù » ed innamorata di un marinaio. Evidenti pressioni commerciali resero più difficile un maggiore impegno da parte del regista, il quale tuttavia, in alcune scene (come in quella in cui la donna porge con la bocca l’acqua al marinaio febbricitante e ne spegne l’arsura con le proprie labbra), riuscì a raggiungere un clima poetico.
Il secondo genere di film offriva senz’altro delle possibilità commerciali molto più grandi, e tentò soprattutto i « narratori ». La serie fu inaugurata da W. S. Van Dyke con Ombre bianche, del 1928, con Monte Blue, Raquel Torres e Leslie Howard. La bellezza dei luoghi e la poetica semplicità di vita dei polinesiani erano poste in netto contrasto con la brutalità e l’ingordigia dei bianchi. In questo film per la prima volta un’attrice bianca – l’attrice Raquel Torres – sosteneva la parte di un’indigena.
Seguirono a breve distanza altri due film di Van Dyke, quasi sullo stesso argomento: L’isola del sole con Ramon Novarro e La voce del sangue con Leslie Howard e Conchita Montenegro.
Circa di quest’epoca è pure la prima edizione di Pioggia di Raoul Walsh, tratto dalla famosa novella Rain di Somerset Maugham con Gloria Swanson e Lionel Barrymore. Dalla stessa novella venne tratto qualche anno dopo un altro film diretto da Lewis Milestone, con Joan Crawford e Walter Huston. In questa vicenda i mari del Sud fanno da sfondo, ma ne è protagonista quell’irresistibile senso di libertà pagana che esplode anche nel cuore del rigidissimo pastore. Nel frattempo il francese León Poirier realizzava il suo Caino con Thomy Bourdelle. Ma non poteva mancare una satira di questo genere di film: ci pensò infatti Douglas Fairbanks con il suo Il signor Robinson Crosuè, che narra l’avventura di un uomo che scommette con degli amici di potersi adattare a vivere solo, senza portarsi alcun mezzo in un’isola deserta. Gli amici, al termine del periodo della scommessa lo troveranno in eleganti capanne munite da tutte la comodità, radio, doccia ed acqua corrente compresa.
Ormai però le ombre bianche avevano davvero irrimediabilmente profanato i mari del Sud e gli ultimi film della serie andarono perdendo sempre più freschezza ed ispirazione a vantaggio di un successo commerciale. Nettamente mediocri furono: L’ultimo dei pagani di Richard Thorpe con Lotus Long e Mala, e Bassa marea con Ray Milland e Frances Farmer, a colori.
Nel 1935 la Metro-Goldwyn-Mayer lanciò un film di grandi pretese, La tragedia del Bounty con Clark Gable, Charles Laughton, Franchot Tone, Movita e Mamo Clarke. Sullo stesso argomento era stato fatto qualche tempo prima in Inghilterra, un film che aveva per protagonista un giovano attore irlandese, che effettivamente discendeva da uno degli antichi ammutinati, Errol Flynn. Nella Tragedia del Bounty l’isola di Paitcairn diveniva per i marinai ribelli il simbolo stesso della libertà. In complesso però i mari del Sud subivano un’interpretazione molto superficiale e rettorica, seppure a volte suggestiva.
Più tardi un altro regista di valore, John Ford volle dire la sua parola. Il film da lui diretto, Uragano, non superava però di troppo il livello della buona produzione commerciale americana. L’interesse maggiore del film nasceva da un abile uso dei trucchi cinematografici, e da una tecnica veramente eccezionale, Ford si era però sforzato di far sentire quell’insopprimibile senso di libertà che pareva sprigionare dai luoghi stessi.
In Inghilterra venne poi girato Il vagabondo dell’isola con Charles Laughton ed Elsa Lanchester, sua moglie, tratto anch’esso da una novella di Maugham.
Nella più recente produzione americana, non giunta fino a noi, numerosi sono i film sui mari del Sud.
Sull’esempio di Hurricane, Tiphoon con Dorothy Lamour e Robert Preston. La dea della jungla, interpretato sempre dalla Lamour e da Ray Milland, fu girato in « technicolor ». Jon Hall, dopo Uragano, è stato chiamato di nuovo ad interpretare la parte di un indigeno in South of Pago Pago, diretto da Alfred Green, con Frances Farmer, Victor McLaglen e Olympe Bradna. In generale si può affermare che tutti questi film sono stati prodotti per lanciare nuovi attori o per sfruttare la fama di altri.
Ma ora le isole del Sud non sono più un paradiso terrestre: tacciono i tamburi, sono cessati le danze e le dolci melodie, le belle indigene non si pongono più corone di fiori sui capelli, furono chiamate « Isole della Pace » ma qui è arrivata la guerra. Accanto alle letture di Stevenson, alle novelle di London, ai quadri di Gauguin, questi vecchi film, attraverso le loro immagini ingiallite, ci aiuteranno domani a ritrovare come ad un’aspirazione irraggiungibile la pace poetica e spirituale di questi luoghi innocenti. Ciascuno di noi potrà dire con O’Neill « Amavo quelle isole... C’era qualcosa di misterioso e di bello: uno spirito benigno di amore che si sprigionava dalla terra e dal mare ».
(Cinema, n. 165, 10 maggio 1943, pp. 265-268) |
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