LE CLASSI
Nella sua visione della società Hollywood sembra ignorare l’esistenza delle classi nel senso economico del termine e tanto più il loro contrasto.
È singolare infatti la constatazione che la lotta di classe che ha dato luogo come manifestazioni storiche di maggior rilievo dell’epoca moderna, ad una immane rivoluzione in Russia, a moti poderosi in quasi tutta l’Europa e in Asia ed in America stessa, a due controrivoluzioni in Germania e in Italia con conseguente installazione di regimi antidemocratici che hanno provocato in seguito una seconda guerra mondiale e che come manifestazione di importanza sociale dà luogo all’esistenza di colossali organismi come i trusts ed i sindacati, che raccolgono milioni e milioni di uomini, non abbia costituito il soggetto di nessun film americano. È singolare ma coerente con il dogma commerciale secondo cui tutti i clienti hanno sempre ragione. Fino a quando almeno non chiedono la sostituzione del direttore del negozio.
Anche per quelle che possono essere le manifestazioni meno importanti come qualche sciopero o una qualsiasi attività sindacale o anche semplicemente le relazioni fra datori di lavoro e lavoratori, i film che toccano l’argomento si possono contare sulla punta delle dita e lo toccano sempre con una precauzione infinita.
Con molta buona volontà alcuni accenni alla lotta di classe possono trovarsi in certi vecchi western nei quali è rappresentata la conquista della terra malgrado le mene di società finanziarie o la lotta dei contadini o cow-boy contro i possidenti del paese. Ma in genere queste lotte sono motivate principalmente dal pessimo carattere e dalla inconsulta passione per la bionda eroina che i soggettisti attribuivano al vilain della storia.
In Nostro pane quotidiano di Vidor troviamo non la rappresentazione di una lotta di classe fra contadini poveri e proprietari terrieri, ma un senso sincero del lavoro e della solidarietà fra uomini che chiedono solo di poter lavorare la « loro » terra contro tutti i tentativi di espropriazione da parte di società finanziarie e contro tutte le altre avversità che gli uomini e la natura pongono sul loro cammino.
La storia di un altro gruppo di lavoratori che si riuniscono per la difesa dei propri interessi era in Ragazzi della strada di Harold Young con Jackie Cooper ed Edmund Lowe sugli strilloni di un grande quotidiano.
Un vago senso socialistico, di carattere umanitario è in quasi tutte le opere di Capra, ma specialmente in È arrivata la felicità ed in L’eterna illusione. È evidente che le sue esperienze gli devono aver reso credibili storie di plutocrati che o per i begli occhi di una non plutocrate, o per la passione dei cavalli, o per il suono di una armonica o infine per un innato senso di bontà si decidono a piantare baracca e burattini o addirittura a regalare agli sprovvisti la suddetta baracca ed i suddetti burattini.
Qualcosa di meno compie il buon Charles Coburn in Il diavolo si converte ma è sempre qualcosa di veramente bello e nobile.
Il motivo del ricco tormentato da complessi sociali ritorna per esempio in La dama e il cowboy di H. C. Potter, nel quale è nientemeno un candidato alla Presidenza che viene persuaso dalla perorazione di un rozzo cow-boy ad abbandonare gli affari e la vita politica per ritirarsi in campagna.
In Proibito invece, ancora di Capra, il ricco è assolutamente refrattario a complessi sociali, non abbandona i successi politici e mondani e lascia che la povera, che veramente è povera per modo di dire, si consumi lentamente al di là della barricata di classe. In Mia moglie cerca marito, di Walter Lang[1], si parla di uno sciopero inopportuno che provoca fastidiosi grattacapi ad una allegra brigata che villeggia tranquillamente in una spiaggia alla moda. In un dialogo fra Tyrone Power, capitalista bellissimo, che spiega il suo metodo di inviare dozzine di girls fra gli scioperanti, e Loretta Young, costei lo rimprovera di « non saper lottare ». Credo sia l’unico film in cui la parola lotta ed il concetto reale di lotta di classe sia sfuggito alla censura hollywoodiana.
Uno sciopero appariva anche in Ed ora... sposiamoci pure di Tay Garnett, nel quale gli operai di uno stabilimento cinematografico abbandonano il lavoro quando la proprietà di questo sta per passare ad un affarista senza scrupoli.
In Vigilia d’amore di John M. Stahl, vi è addirittura uno dei protagonisti, impersonificato dall’attore Onslow Stevens[2], che è un sindacalista di professione, uno strano individuo, semi asceta semi legionario della salvezza, la cui presenza comunque riterrei pericolosa in ogni sindacato che si rispetti.
Anche in La donna che voglio di Borzage aveva una certa importanza uno sciopero che veniva bruscamente ad interrompere la felicità iniziale dei due protagonisti procurando la loro débacle economica.
Assai importante, come profondità d’indagine, è Amore sublime di Vidor in cui è rappresentato il contrasto, giudicato in parte insormontabile, fra la classe operaia e la media borghesia.
Ernst Lubitsch, uno dei più quotati alfieri della borghesia cinematografica internazionale ha toccato l’argomento « socialismo » in Ninotchka. Gli evidenti scopi propagandistici del film realizzato in un determinato periodo della politica statunitense ed il particolare temperamento superficiale del regista non permettono di catalogarlo fra le opere cinematografiche di indagine sociale.
Resta ora di parlare di Chaplin. Anch’egli, su un piano però artistico ed umano di gran lunga superiore a Capra, non esce dai limiti di un socialismo umanitario. Più di ogni altro autore cinematografico americano, Chaplin ha rappresentato le contraddizioni e le storture della società capitalista, ma, giunto al punto di crisi, che egli ben riconosce come economica e politica, non sembra intravedere i metodi necessari per superarla. O meglio ce ne indica uno solo, di carattere morale e non economico e politico: la bontà; la bontà che potrà venire punita e disprezzata ma non vinta. E quando si è trattato di affrontare con tema che così facilmente avrebbe potuto prestarsi alla denuncia precisa di una società in sfacelo, nel tratteggiare, dico, la figura di Adolph Hitler ed i caratteri del nazismo si è limitato ad una polemica antirazzista e ad una generica esaltazione della libertà.
In conclusione dunque la società nel cinema americano non è vista come divisa in classi ma al più in categorie sociali e morali: i ricchi e i poveri.
Note:
[1] Nel testo originale il film è accreditato a Tay Garnett.
[2] Nel testo originale è accreditato l’attore Harvey Stephens.
(Il cinema in U.S.A. Roma: Anonima veritas editrice, 1947, pp. 201-204) |
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